I fatti loro #8: Rosangela Amato
L’ottava puntata della rubrica “I fatti loro” ospita la stimata collega traduttrice Rosangela Amato.
Grazie per avere accettato di rispondere a qualche domanda.
1 – Presentati brevemente. Chi è l’individuo dietro al traduttore?
Una ragazza entusiasta (a volte anche un po’ troppo, che poi si pente – no, non è vero – perché non ha tempo di fare tutte le cose che ha accettato di fare perché WOW MA È BELLISSIMO FACCIAMOLO!), desiderosa di imparare e mettersi in gioco, distrattissima nella vita reale, ma precisa e puntigliosa quando si tratta di lavoro. Dietro il traduttore c’è Rosangela, capricorno ascendente “boh”.
2 – Hai sempre saputo di voler tradurre? O anche tu, come chiunque, sognavi di fare l’astronauta, l’archeologa o la paleontologa?
Appartengo a quella porzione rara di persone che sanno da sempre ciò sarebbero volute diventare da grande e ha seguito un percorso noiosamente lineare. Ho imparato a leggere e scrivere da sola, prima di iniziare a frequentare la scuola elementare e da (quasi) subito mi sono appassionata alle lingue. Ho, da che ho imparato a leggere bene, una smodata passione per il francese, la letteratura e la Francia in generale (nonostante non sia tra le mie lingue di lavoro!) perché uno dei primi “libri” che ho letto è stato quello che usava mia madre a scuola per imparare il francese. Crescendo è arrivata la passione per l’inglese e, soprattutto, quella per il portoghese e tutto ciò che riguarda la cultura e i paesi di lingua lusofona. Non sapevo che questa mia passione sarebbe confluita nella traduzione, quello l’ho scoperto solo all’università. Ciò che sapevo, era di voler lavorare con le lingue e con i libri. Il resto, è venuto un po’ da sé.
3 – Qual è stata la tua prima traduzione pubblicata? Ricordi ancora quello che hai provato la prima volta che hai letto il tuo nome dentro un libro?
La mia prima traduzione (e cura) è stata quella dell’Imbustatorie di ABEditore: “Racconti e Leggende Brasiliane”. Non dimenticherò mai quell’emozione, presente già solo alla firma del contratto. Iniziai a mandare il link a chiunque: “Guarda! È uscita la mia prima traduzione COMPRALA!”. Chiunque sul serio, anche persone che non sentivo qualche tempo.
Non smetterò mai di ringraziare Annarita e Antonella, per avermi dato fiducia e avermi permesso di entrare in questo modo meraviglioso.
4 – Qual è la traduzione di cui sei più orgogliosa, se ne esiste una? E perché? E qual è l’autore che sei più orgogliosa di aver tradotto?
Non c’è una traduzione di cui sono più orgogliosa, sono tutte un po’ i miei figli di carta. Ma l’autore sì, e si tratta del Prof. Carlos Reis, la mia ultima traduzione pubblicata per People. Sono orgogliosissima perché è un libro che ho scelto e proposto e perché ho conosciuto l’autore che è una persona di uno spessore umano e culturale immenso. Sono orgogliosissima perché si tratta di un dialogo tra l’autore e il grande José Saramago. E mai avrei anche solo lontanamente immaginato di poter tradurre, un giorno, le parole del Premio Nobel portoghese che su di me (come immagino su tantissimi altri) esercita un fascino immenso. Una responsabilità enorme, come sempre quando si traduce, ma in quel caso l’ho sentita (e la sento ancora) mettermi una mano sulla spalla e accompagnarmi nel lavoro. È stato un viaggio difficile e meraviglioso.
5 – Esiste una traduzione che vorresti non aver accettato o un libro che avresti voluto tradurre, ma che è stato affidato a un/a collega?
Sì, ma non più. Mi spiego: è capitato (più di una volta) che mi sia maledetta ogni giorno per aver accettato il lavoro, ma una volta terminato e pubblicato ho pensato in realtà: “meno male che ho accettato”. Accade sempre con gli autori che sono “troppo morti” e che non posso chiamare per chiedere lumi. Quelle volte lì metto in dubbio me stessa, mi vengono le paranoie da ODDIO HO SBAGLIATO TUTTO NELLA VITA COSA STO FACENDO. Poi passa. La frase si scioglie – spesso anche grazie all’intervento divino del revisore – mi tiro un ceffone e riprendo. Come ho detto, sono tutti un po’ i miei figli di carta.
6 – Rileggi mai quello che hai tradotto dopo la pubblicazione? Se sì, perché? Se no, perché?
No, assolutamente no. Non lo faccio perché per me è difficilissimo staccarmi dalla traduzione e consegnarla. Rileggo la mia bozza decine di volte e ogni volta modifico qualcosa. So per certo che vorrei modificare anche la versione già uscita, non so se sarebbe il caso.
7 – Quando leggi un libro per tradurlo, la tua esperienza del testo è diversa rispetto a quella di un semplice lettore? Con che occhi legge un traduttore?
Non leggo mai tutto il libro prima di tradurlo, a meno che non sia una proposta che ho fatto io. Scopro la storia pian piano, traduco di getto e poi ci ritorno su almeno un paio di volte (anche di più, se ho tempo). Un traduttore legge con occhi critici, analitici e indagatori. Quando si dice che entra nel testo è un’affermazione verissima. Non tralascia nessuna parola, ne scandaglia il significato in originale e vaglia qualunque forma possibile gli venga in mente nella lingua d’arrivo. È il secondo padre di un testo, come ha detto qualcuno ben più saggio ed esperto di me. Il legame che si crea tra il traduttore e il “suo” libro è viscerale e bellissimo.
8 – Che rapporto hai con chi corregge il tuo lavoro?
Meraviglioso, almeno finora. Ho sempre trovato dei professionisti con la P maiuscola, che non hanno “corretto” il mio lavoro, ma lo hanno guidato, aiutato e migliorato. Il revisore è una figura preziosa.
9 – Quante volte ti è successo di renderti conto che per un problema di traduzione esiste un modo migliore di quello che hai scelto, ma ormai i lavori erano chiusi e il testo pubblicato?
Innumerevoli. Per questo, come detto, non rileggo mai le mie traduzioni pubblicate.
10 – I traduttori sono i ponti della letteratura, ma, tranne che in pochi casi, restano invisibili e ignorati dai lettori. Hai una riflessione in merito?
Purtroppo quello del traduttore è stato per troppo tempo un mestiere non considerato come tale, una pratica che veniva svolta quasi per diletto e forse è anche questo che ne ha penalizzato la figura. Oggi, grazie al lavoro di StraDe e associazioni come ANITI e AITI (e, nel suo piccolo, La bottega dei traduttori) le cose stanno un po’ cambiando. Sempre più Case Editrici riportano il nome del traduttore in copertina e viene citato dai lettori che dei libri non leggono solo la storia, ma anche tutto l’apparato paratestuale. Forse è un po’ anche compito del traduttore smettere di restare nell’ombra. Pubblicizzare l’opera tradotta, anche con un pizzico di orgoglio, non è arroganza, ma aiuterebbe a far capire quanto lavoro c’è dietro un libro e, forse, anche perché molte volte i libri costano.
11 – Hai un refuso di cui sei particolarmente fiero?
Mmm… no. Purtroppo, aggiungerei!
In conclusione, un pensiero dedicato a chi ha letto l’intervista.
Se siete traduttori non siate timidi: la collaborazione e la condivisione è importante nel nostro campo, quindi, uscite dalle vostre TradCaverne (per citare Francesco) e andate in giro a conoscere altri traduttori. Può nascere davvero qualcosa di inaspettato e fantastico.
Se siete dei lettori, non date per scontato chi vi ha dato la possibilità di poter leggere quel libro di quell’autore straniero che vi ha tenuti svegli di notte. Senza i traduttori, tanti libri sarebbero inarrivabili.
Chiudo con una citazione, che racchiude tutto: “Gli scrittori creano la letteratura nazionale, mentre i traduttori rendono universale la letteratura”. (José Saramago)
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