I fatti loro #11: Francesca Gatti
L’undicesima ospite della rubrica “I fatti loro” è Francesca Gatti, bravissima collega.
Grazie per avere accettato di rispondere a qualche domanda.
1 – Presentati brevemente. Chi è l’individuo dietro alla traduttrice?
La persona dietro la traduttrice è Francesca, una linguista col pallino della filologia, i giochi di logica e una lunga lista di hobby (disegno, cucito, maglia, intaglio, DnD, ecc…). Chiacchiero molto senza filtri e mi piace imparare lingue nuove. Piacere di conoscervi.
2 – Hai sempre saputo di voler tradurre? O anche tu, come chiunque, sognavi di fare l’astronauta, l’archeologa o la paleontologa?
Ho sognato di fare la cuoca, nonostante io non abbia mai mostrato particolare talento per la cucina. Poi ho voluto fare la fiorista (solamente perché lo voleva mia sorella maggiore e pensavo sarebbe stata una buona idea lavorare assieme), l’illustratrice (pessima idea dopo il liceo classico) e la scrittrice. È stato al terzo anno di liceo classico, dopo le prime lezioni di “autori greci”, che ho avuto l’impressione che tradurre potesse essere la mia strada. Aspettavo le lezioni con ansia ed è stato lì che mi sono resa conto che tradurre mi piaceva. Poi una cara amica di mia sorella, Valentina, ha iniziato a frequentare la Civica Scuola Interpreti e Traduttori di Milano. Ho dato un’occhiata al programma e ho provato il test appena superato lo scoglio della laurea triennale. Lì ha davvero preso forma tutto.
3 – Qual è stata la tua prima traduzione pubblicata? Ricordi ancora quello che hai provato la prima volta che hai letto il tuo nome dentro un libro?
La mia prima traduzione pubblicata da una casa editrice è stata “L’arte macabra dei Thyssen”, tradotta a otto mani da me e dalle colleghe Flabia Albizia Casini, Alessandra Varini e Alessia Gigli, nell’ambito di uno stage presso Mimesis Edizioni.
È stata un’esperienza bizzarra aprire il libro e trovarci dentro il mio nome. Da un lato era la cosa più naturale del mondo, avevo passasto mesi a sudare su quel testo, giorno e notte. Dall’altra parte avevo l’impressione che il mio nome fosse lì per errore (sindrome dell’impostore who?). Le pagine dei libri erano un posto magico, sacro, dove io non avevo diritto di stare. In fondo non avevo fatto nient altro che tradurre.
Ora ho demistificato molto questo processo ma nulla batte il brivido e l’adrenalina di ricevere la propria copia e guardare con soddisfazione il frontespizio alla ricerca del mio nome. È il riconoscimento del mio sforzo e del mio lavoro. E soprattutto ora so anche che le pagine di un libro non sono un tempio riservato a pochi eletti.
4 – Qual è la traduzione di cui sei più orgogliosa, se ne esiste una? E perché? E qual è l’autore che sei più orgogliosa di aver tradotto?
Sono molto orgogliosa della traduzione di due racconti, entrambi per AbEditore.
Il primo è “L’oratore” di Anton Čechov, primo approccio a una pietra miliare della letteratura russa. Posso dire che è stato un vero e proprio onore confrontarmi con uno dei suoi racconti e mettere in pratica tutte le traduzioni fatte durante la magistrale proprio su questo autore.
Il secondo, invece, è “Alberi-Vampiri” di un autore russo meno noto, Ieronim Jasinskij. È stata la mia prima proposta editoriale (grazie alla Bottega dei Traduttori) andata a segno, ma non solo. “Alberi-Vampiri” è anche il primo testo di Jasinskij ad arrivare in traduzione italiana. Sono orgogliosa di aver tradotto il suo debutto in Italia e, perché no, mi piacerebbe poter lavorare il resto dei suoi racconti un giorno.
5 – Esiste una traduzione che vorresti non aver accettato o un libro che avresti voluto tradurre, ma che è stato affidato a un/a collega?
Al momento non ancora. Ci sono capitoli che mi hanno fatto dannare, ma non ho ancora incrociato un testo che mi ha fatto pentire di aver accettato l’incarico. Ci sono, invece, alcuni volumi che mi sarebbe piaciuto mi fossero affidati ma, a quanto ho saputo, sono stati affidati a un collega con più esperienza di me.
6 – Rileggi mai quello che hai tradotto dopo la pubblicazione? Se sì, perché? Se no, perché?
Sì, perché dopo tutto il lavoro e i mesi di attesa per aver la copia cartacea in mano voglio vedere “l’effetto che fa”. Copertina, impaginazione, profumo della carta: il pacchetto completo. Non mi dà fastidio rileggere me stessa perché in molti casi dopo la revisione ho in mano un testo un po’ diverso da quello che ho prodotto io. È come rivedere un caro amico dopo anni: il rapporto è cambiato, ma c’è comunque affetto.
7 – Quando leggi un libro per tradurlo, la tua esperienza del testo è diversa rispetto a quella di un semplice lettore? Con che occhi legge una traduttrice?
La traduttrice legge con occhi stanchi, mediamente, ma non penso che siano occhi diversi quando si tratta di un libro “di lavoro” rispetto a un libro “di piacere”. La traduzione è una forma mentis che non si può disinstallare dal cervello. Once a translator, always a translator.
Leggendo anche per un paio di case editrici, a scopo valutativo, ormai quando prendo in mano un libro lo analizzo dal punto di vista strutturale, coerenza interna, registro se ci sono termini ricorrenti o problemi di registro/lessico/varianti linguistiche che potrebbero dar filo da torcere a un traduttore. Ovviamente se il libro è tradotto faccio il ragionamento opposto, che è altrettanto divertente.
8 – Che rapporto hai con chi corregge il tuo lavoro?
Buono, davvero buono, per quanto riguarda quelli con cui ho avuto a che fare. La revisione per me è la parte più pesante della lavorazione di un testo. Mi piace, so che è utile, ma richiede un livello di concentrazione che mi costa tanta, tantissima fatica.
Per fortuna, per i testi a cui ho lavorato fino ad oggi, ho avuto a che fare con una squadra di revisore e revisori molto pazienti e gentili che hanno saputo essere rispettosi delle mie scelte pur lavorando per il bene del testo.
9 – Quante volte ti è successo di renderti conto che per un problema di traduzione esiste un modo migliore di quello che hai scelto, ma ormai i lavori erano chiusi e il testo pubblicato?
Un paio di volte e in entrambi i casi mi sarei voluta mangiare le mani. Per fortuna non si trattava di elementi fondamentali della trama. Ogni volta che succede, però, provvedo a dirlo a tutti i miei amici che stanno leggendo il libro, come una specie di errata corrige a voce.
Si trattava in entrambi i casi di giochi di parole, che (masochisticamente) sono tra le cose che adoro tradurre, tanto che ne faccio un punto d’orgoglio il fatto di riuscire a trovare qualcosa che possa funzionare. Ovviamente in alcuni casi il risultato è migliore di altri, ma va benissimo così.
10 – I traduttori sono i ponti della letteratura, ma, tranne che in pochi casi, restano invisibili e ignorati dai lettori. Hai una riflessione in merito?
Senza traduttori non avremmo il mondo che abbiamo oggi e no, non mi va affatto giù che una categoria così importante resti invisibile, eppure posso capire come mai succeda.
In Italia il “saper tradurre” è spesso appiattito nel “sapere una lingua”. Inoltre, in Italia, “sapere una lingua” non è una competenza, è qualcosa che fai nel tempo libero, se ti capita, con Duolingo. Quando mi sono iscritta a lingue in università molte persone hanno detto a me o ai miei genitori che era un errore, perché le lingue avrei potuto studiarle nella vita, viaggiando. Questi commenti sono sintomatici di un problema di percezione. Se qualcosa è dato per scontato o appiattito in questo modo non c’è da sorprendersi che venga poi ignorato il suo apporto nel mondo.
Quindi le traduzioni vengono affidate a chi “sa un po’ di inglese” e i libri tradotti vengono lodati per lo stile dello scrittore. Cinese. Del 1400.
Quello che tento di fare ogni singola volta che parlo di libri con qualcuno di nuovo è sottolineare l’importanza del traduttore e cercare di portare un po’ di luce su questa categoria, di cui faccio parte anche io. C’è tanta strada da fare ma si iniziano a vedere le prime case editrici che mettono il traduttore in copertina o addirittura l’intero team (dal traduttore all’editor, al grafico che ha impaginato tutto) in una pagina speciale dedicata (sì, Minimum Fax lo fa).
11 – Hai un refuso di cui sei particolarmente fiera?
Risale al mio quinto anni di università, ma ne vado ancora particolarmente fiera. Stavamo facendo un’esercitazione di traduzione dall’italiano al russo su una scheda informativa di un elettrodomestico, un frigorifero per essere più precisi. Davanti alla frase “il frigorifero è amico della natura” ho scritto che il frigorifero era друг народы (drug narody), tronfia di essermi ricordata le parole senza aprire il dizionario. Peccato che avessi appena scritto che il frigorifero era amico del popolo.
In conclusione, un pensiero dedicato a chi ha letto l’intervista.
Prima di tutto bravi che seguite Francesco! Seconda cosa, grazie per aver speso cinque minuti della vostra giornata a leggere questa intervista.
Che siate traduttori, aspiranti traduttori, fan del fantasy, è stato un piacere avere la vostra attenzione.
Aggiungi, se vuoi, i tuoi social e il tuo sito.
Non ho (ancora) un sito ma ho una pagina instagram dove pubblico meme sulla traduzione e altri aggiornamenti sui titoli in lavorazione al momento, oltre che spam di letteratura fantastica slava (con cui vi ammorberò).
Mi trovate cercando @fraffen_lostintranslation